Rassegna Critica


In un momento come questo, in cui va destandosi da lungo letargo la coscienza ecologica degli italiani, la pittura di Sergio Borella viene assunta da più parti a simbolo della rivalutazione del rapporto uomo-ambiente; vale a dire di un rapporto che, consunto dal degrado dell’educazione e delle abitudini, è divenuto il riferimento più drammatico alla umiliazione subita dalla civiltà stessa del paese. Non vorrei tuttavia che, esaltandone unicamente i contenuti, si diminuisse il senso o il valore di questa pittura che non è e non vuole essere pubblicitaria; e non ambisce a trasferirsi sui manifesti delegati a sbandierare gli ideali ecologici e le battaglie che vi sono connesse, ma vuole essere arte in assoluto e come tale esprimere ideali diversi: con un linguaggio affollato di simboli, certo, ma felicemente avviato a sviluppare uno di quei canali del surrealismo che tendono ad imparentarsi con l’allegoria. La finitezza delle immagini, che invoca il ricordo di linguaggi tradizionali dell’arte neoclassica, le forzature espressive che si assommano alla già evidente enunciazione linguistica in cui l’arte – anche se recupera, strumentalizzandoli, gli aspetti più familiari del reale – si fa eminentemente soggettiva, denunciano la complessità della preparazione e della formazione professionale di Borella. (…)
E non inganni il fatto che sia pittura piacevole e apparentemente facile da identificare e da capire: è un diaframma, questo, che perfidamente si interpone fra l’opera e il lettore. Infrangerne la consistenza per penetrare l’espressione e leggere l’opera senza ostacoli ingannevoli, vuol dire cercare di afferrarne correttamente il senso. Il che difficilmente coincide con l’assunzione “a scatola chiusa” o (nel caso di questa pittura accade sovente) con il lasciarsi trascinare, da una finalizzazione magari nobilissima, alla sola identificazione dei contenuti. Borella “dice” in effetti molte cose che vanno oltre quegli oggetti fedelmente descritti nei suoi temi preferiti; e molte altre interessanti ne potrà esprimere al di là dell’evidentissimo concetto dell’incuria umana, aggiustando appena la sintassi del suo linguaggio che la esige impeccabile.”

Tommaso Paloscia